Chiara Badano Settembre 2010

Luce d'Amore - Onlus

Chiara Badano Settembre 2010

Nel corso di una Messa solenne sabato 25 settembre a Roma, presso il Santuario del Divino Amore, si terrà il rito di beatificazione di Chiara Luce Badano, presieduto da mons. Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi. Anche l’Unità pastorale di San Mauro è in festa per questo avvenimento, particolarmente la parrocchia del Sacro Cuore (Sambuy) che qualche anno fa ha intitolato il suo oratorio proprio a Chiara: 10 settembre 2005.

 

Vale la pena di riscoprire le ragioni che indussero il Consiglio Pastorale a questa intitolazione. La giovane Chiara Luce è morta nel 1990. Sarà beatificata vent’anni dopo, un tempo molto breve, perché la Chiesa ha riconosciuto il grado eccezionale della sua santità nell’esperienza della malattia e dolore, che la portò a vette meravigliose. La fede nel dolore: è una ragione importante per ricordare Chiara, ma la nostra scelta di intitolarle l’oratorio di Sambuy aveva anche altre ragioni. Coglievamo qualcosa di fresco e di originale nella sua esperienza. Il suo percorso non sottolineava solo una perfezione personale, una santità individuale.

Coglievamo che dietro c’era un modo diverso di farsi santi, potremmo dire un modo di farsi santi «insieme». Insomma, guardavamo al suo modo di vivere la malattia e il dolore, ma capivamo che il suo modo di affrontarli santamente avevano radici nel «prima» della sua vita. Chiara stava nella sua vita da ragazza, tutta impregnata dell’esperienza di identificarsi con amore con i suoi amici, con i compagni di scuola, con i ragazzi della parrocchia. Il farsi uno con gli altri per lei voleva dire condividere profonda-mente le esperienze degli altri, ma anche mediarle tutte con la presenza di un Gesù vivo e operante tra di noi. Ha saputo non solo cogliere la presenza reale di Cristo nella vita di ciascuno; ha sentito Cristo agire in lei e contemporaneamente in tutti i suoi amici, compagni di viaggio.

Dei numerosi episodi, bellissimi anche se sovente molto semplici, dell’amore con cui Chiara Luce amava ogni momento si parla molto poco, tanto che viene sovente additata come un modello per i giovani d’oggi quasi esclusivamente nel periodo della sua malattia. Ma così quale modello intenderemmo proporre? Sarebbe come dire che se i giovani vogliono farsi san-ti, devono sperare di morire anch’essi così? A noi interessa quello che sta dietro, interessa la vita quotidiana di Chiara, anche nei momenti precedenti la sua sofferenza. Così ci siamo resi conto che è proprio da quell’unità che aveva scoperto, da quella intensa spiritualità collettiva che cercava di vivere che è nato tutto: anche e soprattutto dalla scoperta di quel Gesù agonizzante in croce che lancia al Padre il suo grido «Dio mio, Dio mio parchè mi hai abbandonato?», che l’ha resa capace di certe vette assolute nella sua malattia. Senza l’unità nulla sarebbe stato così.

Ma non c’era solo questo, la sua santità non è spiegabile, e neanche capibile, se non la si vede nel contesto della vita dell’intera sua comunità, la parrocchia, ma anche dell’Opera di Maria, con la quale lei viveva il suo amore reciproco, generando il Santo in tutte le cose, anche le più quotidiane. Questo ci ha sempre affascinato e per questo l’abbiamo pensata come un modello assolutamente proponibile a tutti i giovani (e non solo): una santità di popolo in cui tutti, piccoli e grandi, possono raggiungere anche i più alti gradi di perfezione perché immersi in Gesù Cristo il Santo, presente fra di noi. Sportiva, giocava a tennis, amante della musica, giovane fra i giovani, e soprattutto piena della gioia di vivere. Un giorno scrisse: «Ho scoperto che Gesù abbandonato è la chiave dell’unità con Dio e voglio sceglierlo come mio sposo e prepararmi per quando viene. Preferirlo!».

È così che Chiara Luce divenne capace di «trasformare la sua ‘passione’ in un canto nuziale», sostenuta dalla certezza di «esse-re amata immensamente da Dio». Ormai immobile nel letto, disse «Ora che non ho più niente di sano, ho però ancora il cuore e con quello posso sempre amare, facendo solo la volontà di Dio nell’attimo presente: stare al gioco di Dio», capace di dire «Per te Gesù, se lo vuoi tu, lo voglio anch’io»… fino a programmare in tutti particolari il suo funerale come una grande festa di nozze, compreso l’abito bianco preparato con tanta cura, e dando come ultimo saluto alla mamma: «Ciao, sii felice perché io lo sono». Chiara Luce ebbe a dire: «I giovani sono il futuro. Io non posso più correre, però vorrei passare loro la fiaccola come alle Olimpiadi. Hanno una vita sola e vale la pena di spenderla bene».

Queste ci parevano le ragioni, nel nostro piccolo, per intitolarle l’oratorio di Sambuy, cogliendo il senso complessivo della sua vita, della sua spiritualità, che l’aveva portata a condividere l’esperienza di Chiara Lubich nell’Opera di Maria. Ad accompagnarci in questo viaggio sono stati monsignor Livio Maritano, il «suo» vescovo, che ne ha colto subito i tratti della santità, la vice postulatrice della causa, Maria Grazia Magrini, e il dott. Ferdinando Garetto, suo amico, che per primo venne a spiegare ai nostri giovani questa straordinaria figura. Li ringraziamo.

Roberto PORRATI

Fonte: Testata d’Angolo è un giornale bimestrale di informazione locale, distribuito gratuitamente nelle buche di San Mauro, insieme al settimanale diocesano di Torino la Voce del Popolo.
18 settembre 2010